Age Management: perché è importante gestire l’età nelle organizzazioni

Con Age Management (branca del Diversity Management) si definisce un insieme di operazioni aziendali, interrelate e strutturate funzionalmente, che hanno lo scopo di riconoscere e valorizzare i punti di forza dei lavoratori, tenendo in considerazione la loro età anagrafica. La diversità di età, alla stregua di quella di genere, di quella culturale o di orientamento sessuale, se accolta positivamente, può aumentare il valore del capitale umano e influire proficuamente sugli asset economici dell’azienda.

L’obiettivo intriso nelle iniziative dell’Age Diversity è quello di sviluppare armonia tra le varie generazioni presenti all’interno del contesto aziendale attraverso l’adeguamento delle attività previste dai ruoli di ognuno. Una programmatica attuazione di precise pratiche nella gestione dell’età supporterà le organizzazioni ad adattarsi al naturale invecchiamento della forza lavoro, a contribuire all’estensione della vita lavorativa, a promuovere le pari opportunità tra impiegati di diverse fasce d’età.

Age Management nel Bel Paese

In Italia è sempre maggiore l’impiego di persone over 50 a causa degli sviluppi demografici e dell’innalzamento dell’età pensionabile, che incentivano le aziende a rimodulare le politiche organizzative a favore di questa fascia anagrafica. Tra il 2014 e il 2018, la popolazione nazionale di coloro che hanno più di 50 anni è cresciuta notevolmente arrivando a contare 913.000 unità, passando dal 30,7% al 33,5% del totale. Quella che solo un decennio fa era una fase lavorativa non molto lontana alla pensione, oggi è considerabile una nuova fase professionale.

Per tutte queste ragioni, le organizzazioni stanno pertanto comprendendo la rilevanza dell’Age Management per gestire in maniera eccellente il capitale umano, valorizzando ed integrando le competenze degli over 50 con quelle dei lavoratori più giovani.  Questa è l’unica via per favorire il saggio scambio generazionale tra le pratiche e le modalità delle generazioni precedenti e le competenze possedute da quelle successive.

In linea con quanto appena descritto, il tema ritenuto tra i più importanti ad oggi è proprio la collaborazione tra generazioni solo apparentemente distanti. A tal proposito alcune aziende stanno registrando gli stereotipi fondati sull’età. Quello che può contribuire a rendere possibile questo percorso è l’applicazione di una nuova prospettiva.

Le categorie precostituite ‘giovani’ e ‘vecchi’ sono molto comuni e poco utili in questa sede. Secondo le convinzioni sociali, i primi sono sicuri portatori di novità, caratterizzati da estremo dinamismo e grinta, i secondi sono invece inflessibili, resistenti al cambiamento e rigidi. Questo approccio fine a sé stesso necessita di essere sostituito con uno che valorizza i diversi lavoratori in termini assoluti e non relativi. Una popolazione variegata a livello anagrafico è, se ben gestita, più ricca e potenzialmente più capace nel perseguire il benessere generale.

La filosofia aziendale deve suggerire valori e modalità procedurali uguali per tutti i lavoratori, che superino ma non neutralizzino le differenze di età.

Quali sono le problematiche nell’Age Management italiano?

In Italia la gestione delle diversità non è ancora tra le priorità delle Direzioni HR. La questione dell’Age Management è in ogni caso destinata a caricarsi di sempre più significatività: in seguito al naturale allungamento della vita e a riforme previdenziali che innalzano l’età pensionabile, nonché alla riduzione degli under 35 al lavoro, sarà inevitabile ricorrere a delle politiche specifiche per gestire le diverse generazioni al lavoro.

Tuttavia, solo il 25% delle organizzazioni sta affrontando la problematica con iniziative ad hoc. Tra queste:

  • attività di tutoraggio/coaching per i nuovi assunti;
  • politiche di ingaggio diversificate a seconda della generazione di appartenenza;
  • iniziative per la realizzazione di coesione tra culture e approcci differenti sulla base dell’età, come il team building o il reverse coaching.

Emerge una preoccupante carenza di visione strategica nell’affrontare il tema, che viene gestito maggiormente in maniera passiva e reattiva, senza dar peso alle risorse a disposizione che potrebbero costituire un forte vantaggio competitivo in futuro.

Un esempio pratico è quello della Pubblica Amministrazione, dove l’età media dei lavoratori è di 50,34 anni a causa del blocco delle assunzioni da diversi anni. Malgrado ciò, in questo settore le iniziative di Age Management sono fondamentalmente inesistenti e, più si continuerà a ignorare il tema, tanto più diventerà grave la situazione nei prossimi anni: nel momento in cui si ricomincerà ad assumere giovani, occorrerà far comunicare tra di loro generazioni troppo lontane.

Stop ai pregiudizi: l’età anagrafica è un valore aggiunto

Coloro che hanno superato i 50 anni di età si trovano spesso a dover combattere numerosi pregiudizi: si tende a considerarli più intransigenti, lenti, senza voglia di imparare e meno impegnati nello svolgimento dei loro compiti. Si tratta di luoghi comuni da dover sfatare.

Dopo i 50 anni le persone hanno spesso davanti a sé ancora oltre 10 anni di lavoro, quindi rendersi conto di trovarsi davanti a un nuovo ciclo della vita e non al termine dell’esperienza professionale è davvero determinante. Risulta necessario far sì che restino al centro delle attività aziendali, proponendo in prima linea attività di formazione ad hoc e facendo bilanci delle competenze. La loro età anagrafica, infatti, non è altro che un valore aggiunto. Un impegno serio e continuativo in questo senso potrà regalare agli Over 50 una seconda giovinezza lavorativa e offrire alle organizzazioni delle preziose risorse, ricche sorgenti di esperienza e informazione qualificata.

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